Il Libro Liquido: un nuovo modello per l’Editoria Scolastica

E’ ormai evidente che “la via italiana” alla trasformazione digitale è stata fin qui a dir poco tortuosa, e che nel momento in cui lo svolgimento di certe attività è stato stravolto da cause di forza maggiore, abbiamo pagato dazio pesante alla mancanza di programmazione.

Lo schema si è ripetuto in vari settori: laddove si sarebbe potuto, in anticipo e con lungimiranza, disegnare soluzioni tecnologiche in grado di affiancare, sostenere e potenzialmente in futuro rimpiazzare l’approccio tradizionale, oggi si cerca di correre al riparo, spesso in maniera affrettata e inefficace.

Turismo, lavoro, sanità, sono solo alcuni degli ambiti nei quali si sarebbe dovuti intervenire con anticipo e visione (ma in cui un’inversione di tendenza è sicuramente possibile – anzi, è l’unica strada). Simili considerazioni possono essere fatte per l’istruzione in generale, e in maniera specifica per l’editoria scolastica.

AGGIORNAMENTI: UNA CHIAVE PER L’APPRENDIMENTO O UNA MALIZIA?

C’è un problema che da anni caratterizza il settore.

Per definizione, l’attività di ricerca e le nuove conoscenze portano prospettive aggiornate sulle materie che vanno pertanto integrate agli esistenti libri di testo.

Edizioni nuove di zecca aggiornate vengono dunque prodotte e adottate nei nuovi corsi, rendendo i libri vecchi– – che riportano informazioni ormai obsolete – totalmente inservibili.

Incidentalmente, questo rappresenta un meccanismo di monetizzazione chiave per gli editori, i quali hanno così la possibilità di produrre e diffondere frequentemente libri che sono tecnicamente nuovi, anche se magari solo parzialmente aggiornati.

Ora, è vero che tipicamente gli studenti adotterebbero il libro per un solo anno in ogni caso, prima di passare al corso successivo; ma è pur vero che esisterebbe un importante mercato dell’usato cui approvvigionarsi, per non parlare dei casi in cui i libri possono venire ereditati da fratelli e cugini.

E qui sta il cuore del problema: con un incentivo evidente a produrre edizioni nuove (che finiscono per gravare non poco sui bilanci delle famiglie), emerge la questione spinosa di quanto effettivamente significativi e necessari siano gli aggiornamenti imposti.

Tanto è vero che in passato il governo italiano decretò un blocco delle edizioni, per cui gli editori si impegnavano a non variare i contenuti dei libri per cinque anni, fatte salve – e questo è un aspetto chiave su cui torneremo – delle appendici di aggiornamento da “rendere separatamente disponibili”.

La reazione degli editori non fu propriamente entusiasta e, a farla breve, il decreto fu stralciato dal governo successivo che riportò così alla liberalizzazione delle edizioni.

Il ministero, nel corso degli anni, ha anche varato iniziative digitali, ad esempio attraverso schemi che prevedono, associato al libro fisico, un codice che da accesso a contenuti online.

Peccato che a quei contenuti non acceda nessuno: quando solo il 5.3% degli studenti sblocca i codici per fruire delle risorse a disposizione in aggiunta quelle cartacee, evidentemente l’approccio va se non altro ridiscusso.

In sostanza parrebbe emergere due punti fondamentali:

1)     La relazione inversa tra profitti degli editori e soddisfazione delle famiglie come attori economici (in altre parole, gli editori prosperano solo se le famiglie spendono più di quanto vorrebbero). Emblematico di questa relazione conflittuale è il ruolo del mercato dell’usato, vera e propria ancora di salvezza per le famiglie e visto come il fumo negli occhi dagli editori.

2)     Anche fra i nativi digitali, il libro fisico sembra essere imprescindibile nel processo di studio e apprendimento.

UN NUOVO MODELLO DI BUSINESS

Bene, il primo passo per uscire da questo viluppo è realizzare che gli editori scolastici non producono libri: producono contenuti.

(Che tali contenuti siano tradizionalmente veicolati su carta ha importanza relativa: del resto l’Odissea, verosimilmente uno dei più grandi libri della storia, fu tramandata oralmente per secoli e stampata solo in seguito a una rivoluzione tecnologica.)

Ritorniamo un attimo all’idea, richiamata in precedenza, degli appendici da rendere “separatamente disponibili rispetto” al libro: la ratio chiaramente è quella di mantenere una base solida – il testo, appunto – su cui poi modulare gli aggiornamenti in maniera mirata.

Il modello proposto ai tempi però non era chiaro: come verrebbero resi disponibili tali aggiornamenti? Gli editori avrebbero la possibilità di monetizzarvi, anche considerati i costi di produzione e distribuzione aggiuntivi? Non c’è il rischio che, una volta sugli scaffali degli studenti, queste appendici rimangano staccate dal libro o vengano smarrite, e in definitiva non consultate?

Si correrebbe un rischio non diverso da quello rilevato per gli aggiornamenti online: separate dal contesto del libro, le informazioni non vengono utilizzate.

Ecco perché occorre lavorare su un modello in cui gli aggiornamenti siano modulari, ma contestuali al libro.

IL LIBRO LIQUIDO

La soluzione è offerta dalla Realtà Aumentata, che permette di aggiungere contenuti digitali alla realtà fisica.

Disegnando progetti che prevedano un libro di testo come pietra angolare e una App mobile che attivi certi contenuti inquadrando il libro stesso, si può aprire uno scenario completamente nuovo in cui:

  • Gli editori producono contenuti e aggiornamenti con la frequenza che la ricerca impone.
  • Gli aggiornamenti ai testi vengono venduti individualmente online, e visualizzati tramite la App esistente contestualmente alla lettura del libro.
  • Gli editori monetizzano esclusivamente sugli aggiornamenti, senza la necessità di produrre un nuovo testo tout court (con tutti i costi correlati).
  • La vita utile del libro viene allungata.

  • Il mercato dell’usato, da spauracchio degli editori, diventa così un alleato indiretto per la circolazione della “pietra angolare” su cui costruire un nuovo tipo di fruizione dei contenuti.
  • Le famiglie realizzano risparmi significativi. Immaginiamo un caso in cui, anzi che pagare 50 euro per un testo nuovo, se ne possano pagare 25 per la versione usata oltre a 7 euro per i relativi aggiornamenti: ipotesi di risparmi nell’ordine del 35/40% non sono irragionevoli.

Questa ipotesi di “libro liquido”, quindi, risolverebbe con successo il falso trade-off fra profitti degli editori e costi inutili a carico delle famiglie e permetterebbe un’immersione nel digitale senza privarsi della rassicurante e necessaria presenza dei libri fisici.

Ma non è tutto.

L’impiego della realtà aumentata aprirebbe a possibilità illimitate in termini di contenuti innovativi e potrebbe tendere una mano agli studenti con difficoltà di apprendimento– il tutto partendo sempre dalla medesima pietra angolare: il vecchio libro di testo.

Infine, non va sottovalutato un significativo impatto ambientale: il modello del libro liquido non solo ridurrebbe gli sprechi di libri rapidamente dismessi, ma anche le emissioni legate alla produzione e alla distribuzione del prodotto finale.

Insomma, una vittoria per tutti? Non proprio, a prima vista. A perderci in questo scenario parrebbero i veri produttori di libri, vale a dire gli stampatori.

Attenzione però. Questa proposta non rappresenta una minaccia al libro: è la sua salvezza.

Lo scenario alternativo più probabile infatti non è il mantenimento indefinito dello status quo – chiaramente irrealistico – bensì una virata radicale verso l’online: la realtà aumentata può dare alla carta una nuova vita.

In una catena del valore così ridisegnata, gli stampatori dovrebbero anzi considerare di includere la realtà aumentata nel proprio portafoglio di prodotti: utilizzando piattaforme ad hoc lo possono fare senza sviluppare competenze tecniche interne e quindi senza snaturare la loro professionalità, ma innovando in maniera strategica– e non in reazione a una minaccia improvvisa.

Questo messaggio è disponibile anche in: Inglese

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